Bambini e alimentazione
Quando i figli rifiutano il cibo, spesso i genitori si preoccupano e cercano a tutti i costi di spingerli a mangiare, attraverso spiegazioni, minacce di proibizioni e punizioni... potrebbe non essere la strategia giusta...

Quando i figli rifiutano il cibo, spesso i genitori si preoccupano e cercano a tutti i costi di spingerli a mangiare, attraverso spiegazioni, richieste e talvolta minacce di proibizioni e punizioni.
Questa «tentata soluzione» tuttavia, il più delle volte, si dimostra inefficace, se non addirittura svantaggiosa.
Scopriamo perché
Se fai quello che hai sempre fatto, otterrai quello che hai sempre ottenuto (A. Robbins)
Molti problemi di comportamento nei bambini, in età prescolare e scolare, si formano sulla base di risposte che gli adulti mettono in atto.
Alcune volte infatti, chi interviene sulle difficoltà, davanti a soluzioni che si dimostrano inefficaci, invece di sostituirle con altre, le intensifica, comportandosi come il mulo di una famosa storiella greca.
«Si racconta di un mulo che ogni giorno portava sulla groppa un cesto di legna dalla fattoria nella quale viveva ad una baita di montagna, attraversando sempre lo stesso viottolo. Un giorno, cammina e cammina, si trovò di fronte un albero abbattuto da un fulmine, che ostruiva il passaggio. Il mulo non si fermò ed invece di aggirarlo gli diede una bella testata. Poiché l’albero tuttavia non si spostò, l’asino prese la rincorsa e gli diede un’altra testata, continuando così, a dare delle forti capocciate fino a morire».
Spesso i genitori, quando il loro figlio non mangia, invece di provare a fare qualcosa di diverso, applicano maggiormente la soluzione basata sull’insistere, intensificandola anche se non funziona.
Ad ogni rifiuto del cibo da parte del bambino, la loro preoccupazione aumenta e così, di riflesso, le continue esortazioni, anche se tutto ciò purtroppo, finisce sempre per portare il figlio nella direzione opposta a quella desiderata; come diceva Oscar Wilde, in uno dei suoi più famosi aforismi: «È con le migliori intenzioni che il più delle volte si ottengono gli effetti peggiori».
In età precoce, parlare di disturbo alimentare è molto pericoloso, poiché si corre il rischio di innescare un effetto a valanga per cui la diagnosi costruisce la malattia finché, in una sorta di profezia che si autoavvera, quel bambino svilupperà nella pubertà un disordine alimentare vero e proprio. Inoltre, bisognerebbe sempre considerare che tutti i bambini possiedono una capacità di autoregolazione, per cui se un giorno non mangiano a cena o alla mensa della scuola, lo faranno sicuramente il giorno dopo o in un momento successivo.
Il rifiuto del cibo nel bambino quindi, non è sempre qualcosa di grave, ma può apparire anche come un comportamento occasionale, che si eliminerebbe facilmente se solo si evitasse di prestargli eccessiva attenzione o addirittura se si iniziasse a proibire al figlio di sedersi a tavola e mangiare.
Quest’ultima soluzione, anche se può sembrare per certi versi assurda, in Terapia Breve Strategica si è dimostrata negli anni molto efficace, proprio perché, attraverso la prescrizione del comportamento da eliminare, è in grado di cambiare la rigida interazione tra esortazioni e rifiuti, impedendo così al problema di consolidarsi nel tempo.
Un bellissimo esempio di strategia, molto indicata per questo tipo di difficoltà, è quella che si trovò ad utilizzare uno dei più grandi terapeuti di tutti i tempi, Milton Erickson, davanti al rifiuto di mangiare le verdure da parte di uno dei suoi figli. Egli cominciò a proibire alla moglie di servire le verdure al bambino, asserendo che era ancora troppo piccolo per poterle mangiare. Dopo breve tempo, il figlio chiese alla madre se era diventato già abbastanza grande per poter mangiare le verdure (M. Erickson, 1979).