HIV, Informazioni e novità. Terapia, vaccino . . .
La sigla Acquired Immuno-Deficiency Syndrome, ovvero sindrome da immunodeficienza acquisita, identificata per la prima volta nel 1979 a New York e San Francisco, è caratterizzata dalla comparsa di un grave deficit immunitario combinato, acquisito in seguito all’infezione da parte del virus dell’immunodeficienza o HIV (Human Immunodeficiency Virus), di cui esistono due tipi simili, HIV1 e HIV2. Il recettore di questo virus è una molecola di superficie che si chiama CD4 . . .

HIV, Informazioni e novità. Terapia, vaccino . . . – La sigla Acquired Immuno-Deficiency Syndrome, ovvero sindrome da immunodeficienza acquisita, identificata per la prima volta nel 1979 a New York e San Francisco, è caratterizzata dalla comparsa di un grave deficit immunitario combinato, acquisito in seguito all’infezione da parte del virus dell’immunodeficienza o HIV (Human Immunodeficiency Virus), di cui esistono due tipi simili, HIV1 e HIV2. Il recettore di questo virus è una molecola di superficie che si chiama CD4.
L’HIV è un retrovirus, cioè un virus a RNA che viene trascritto a DNA all’interno delle cellule grazie a una trascrittasi inversa. Può rimanere libero nel citoplasma, ma soprattutto integrarsi nel DNA del nucleo delle cellule, rimanendo quiescente o divenendo attivo: in tal caso produce molecole di cui ha portato i geni, in modo da riprodursi e moltiplicarsi.
La particolarità di questo virus risiede nella capacità di infettare quasi esclusivamente le cellule del sistema immunitario, soprattutto macrofagi e linfociti T-helper. In questo modo l’HIV indebolisce il sistema immunitario fino ad annullare la risposta contro virus, batteri, protozoi e funghi.
Il virus responsabile dell’immunodeficienza acquisita è debolmente contagioso e resiste poco nell’ambiente esterno. Il virus si trova nel sangue, nello sperma, nel liquido vaginale e nel liquido pre-eiaculatorio e si trasmette soltanto attraverso il sangue e la via sessuale.
La trasmissione sessuale è oggi la modalità di trasmissione più diffusa dell’infezione da HIV. I rapporti sessuali, sia omosessuali che eterosessuali, possono trasmettere l’infezione. Questa avviene attraverso piccolissime lesioni dei genitali che si verificano durante il rapporto sessuale e che consentono al virus, presente nello sperma e nelle secrezioni vaginali, di entrare nell’organismo. Tutte le pratiche sessuali che favoriscono traumi possono provocare un aumento del rischio di trasmissione, per questo motivo i rapporti anali sono a maggior rischio: la mucosa anale è infatti più fragile e meno protetta di quella vaginale e quindi il virus si trasmette più facilmente. La trasmissione della malattia può verificarsi anche dalla madre al bambino, durante la gravidanza o il parto e avviene in circa il 20% dei bambini nati da madri infette.
Quando una persona entra in contatto con l’HIV può diventare sieropositiva, vale a dire che presenta la positività alla ricerca di anticorpi dell’HIV nel siero. Ciò significa che l’infezione è in atto e che è possibile trasmettere il virus ad altre persone. Il tempo che intercorre dal momento del contagio all’effettiva comparsa degli anticorpi contro l’HIV nel sangue viene chiamato “periodo finestra”. Questo periodo dura mediamente 4-6 settimane, fino a 6-8 mesi. Durante questo periodo anche se la persona risulta sieronegativa è in grado di trasmettere l’infezione.
Pur essendo sieropositivi, è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e accorgersi del contagio solo al manifestarsi di una malattia. Il tempo trascorso tra il contagio e le manifestazioni cliniche evidenti della malattia conclamata viene definito periodo di incubazione. L’infezione da HIV è caratterizzata da un tempo di incubazione molto lungo e molto variabile da persona a persona (anni).
Interpretazione della fase di latenza clinica: sembra attualmente chiaro che il virus non diventi mai del tutto silente e distrugga tutti i giorni una piccola parte del sistema immunitario, fino al suo crollo.
Poche semplici precauzioni possono contrastare il pericolo di infettarsi con l’HIV. Un ottimo ed efficace mezzo di barriera per ridurre il rischio di contrarre l’infezione è quello di ricorrere al preservativo in ogni tipo di rapporto sessuale. Contro la trasmissione per via ematica, la raccomandazione fondamentale è quella d’evitare l’uso in comune di siringhe e aghi. Si consiglia di non usare oggetti altrui che possono determinare contatti diretti sangue-sangue, in grado cioè di causare abrasioni, ferite o punture (rasoi, lamette, spazzolini da denti, forbicine). È pericoloso sottoporsi ad agopuntura, tatuaggi e piercing se gli aghi utilizzati non sono monouso o non sono stati sterilizzati. Infine, la spirale e il diaframma sono metodi utili a prevenire gravidanze indesiderate, ma non hanno alcuna efficacia contro il virus dell’HIV.
Farmaci contro l’Aids e i vaccini ? – La Zidovudina, nota come AZT, è una molecola attiva contro l’Aids. E’ con questa terapia, diffusa a partire dal 1987, che ha inizio infatti la battaglia contro una malattia per la quale, fino a quel momento, la ricerca di un farmaco efficace aveva incontrato non poche difficoltà. Obiettivo della zidovudina è un enzima virale, la trascrittasi inversa: bloccando la sua attività questo farmaco riesce ad arrestare la moltiplicazione del virus.
Negli anni successivi al 1987 sono state sviluppate altre terapie simili a questa mentre un nuovo problema si poneva all’attenzione degli scienziati: il virus, infatti, muta velocemente ed è in grado così di diventare resistente al farmaco, rendendolo inefficace. Per questo la “monoterapia”, cioè l’impiego di un solo farmaco per volta, veniva presto sostituita con una nuova strategia: così ora più farmaci diversi vengono somministrati allo stesso paziente in un “cocktail” di varie molecole. In questo modo, se il virus sviluppa la resistenza a una singola molecola, saranno gli altri farmaci che compongono il cocktail a impedirne la moltiplicazione. La mortalità per Aids, in questo modo, si riduce di moltissimo.
L’introduzione, nel 1996, di una nuova classe di farmaci definiti «inibitori della proteasi» (che vanno a colpire un altro enzima virale indispensabile per la sua moltiplicazione), nella cosiddetta «terapia antiretrovirale altamenta attiva» (Highly Active Antiretroviral Therapy, o Haart), segna un altro grande importante successo.
La mortalità per Aids nell’arco di tempo che va dal 1995 al 2001 negli Stati Uniti diminuisce così del 70%, passando dal 1° al 5° posto tra le cause di decesso nella popolazione di età compresa tra 25 e 44 anni.
Oggi, a disposizione dei medici, esiste una terza classe di farmaci: gli inibitori della fusione che impediscono l’ingresso del virus Hiv-1 nella cellula. Attualmente esistono linee guida nazionali ed internazionali che fissano i principi generali per stabilire le caratteristiche della terapia antiretrovirale, per valutarne l’efficacia, per verificare la comparsa di effetti collaterali o di resistenza del virus ai farmaci.
Prima dell’introduzione della terapie antiretrovirali per un paziente con Aids conclamato la speranza di vita andava da pochi mesi a qualche anno. Le terapie odierne riescono invece a garantire loro una aspettativa di vita molto lunga, con una qualità dell’esistenza nettamente migliore rispetto al passato. I farmaci, infatti, riescono a contrastare la moltiplicazione del virus così efficacemente da renderlo non dosabile nei normali esami per la valutazione della carica virale. Malgrado ciò il virus non può essere eliminato dall’organismo.
I farmaci antiretrovirali oggi a disposizione, in sostanza, non sono curativi: possono impedire la replicazione del virus o il suo ingresso nella cellula ospite ma, anche se presente in forma ridotta, il virus rimane all’interno del midollo osseo, dei linfonodi e nel sistema nervoso centrale.
Oltre che sullo sviluppo di nuove terapie, però, l’attenzione degli scienziati di tutto il mondo si concentra sullo sviluppo di possibili vaccini.
Pur con diversi approcci le strade che i ricercatori stanno battendo nella ricerca di un vaccino sono due: la prima dovrebbe portare al “vaccino terapeutico” e al “vaccino preventivo”.
La seconda strada, più complessa, dovrebbe portare al “vaccino preventivo” destinato alle persone non infettate. Questo vaccino, come gli altri oggi impiegati (antitetanico, antipoliomielitico, antiepatite A e B . . .) sarebbe destinato a prevenire la malattia, cioè a garantire che, in caso di un contatto con Hiv, l’organismo già immunizzato possa combattere efficacemente il virus impedendo che l’infezione possa espandersi. Nel mondo sono diverse decine i gruppi di ricerca che lavorano allo sviluppo di un vaccino ma fino ad oggi nessuno ha dimostrato di essere efficace.
Il “vaccino terapeutico” è destinato alle persone già infettate, per aiutarle a ricostruire una difesa specifica e valida contro il virus. E’ messo a punto in Italia dall’Istituto Superiore di Sanità e giunto alla fase due della sperimentazione.
L’importanza del vaccino sta nel fatto che colpisce il virus Hiv al cuore. Il suo bersaglio è infatti la proteina Tat, il motore molecolare che permette al virus di riprodurre copie di se stesso e di diffondere l’infezione. Contrariamente a molte altre proteine utilizzate come bersaglio negli studi finora condotti sui vaccini, la Tat non si trova sulla superficie del virus Hiv ma al suo interno. Nel momento in cui il virus infetta una cellula, comincia a produrre la proteina in abbondanza, dopodiché questa esce dalla cellula e prepara il terreno al virus, aprendogli le porte sulla superficie di altre cellule sane. Il vaccino punta a bloccare l’azione della Tat.
In generale anche quando i farmaci della terapia antiretrovirale altamente aggressiva riescono a decimare le particelle di virus Hiv nell’organismo, alcune di esse sfuggono nascondendosi indisturbate nei cosiddetti “santuari” e la loro presenza continua a stimolare le difese immunitarie, facendole funzionare in uno stato di allarme continuo. Questa condizione di perenne allerta, chiamata immunoattivazione, è all’origine di molti disturbi a sistema cardiovascolare, fegato e reni. Il vaccino basato sulla proteina Tat ha dimostrato di riuscire a bloccare l’immunoattivazione, riportando il funzionamento del sistema immunitario in una condizione di equilibrio.