L’enigma delle intolleranze alimentari. Ma esistono davvero ?
L'argomento "intolleranze alimentari" ha diviso per anni gli specialisti, finalmente però si comincia ad ammettere che ci sono reazioni dell'organismo colpevoli di vari malesseri che non sono delle classiche allergie....

L’enigma delle intolleranze alimentari. Ma esistono davvero ?
Da circa 20 anni ci occupiamo di intolleranze alimentari o meglio definite allergie alimentari ritardate o infiammazione da cibo. L’argomento “intolleranze alimentari” ha diviso per anni gli specialisti, finalmente però si comincia ad ammettere che ci sono reazioni dell’organismo colpevoli di vari malesseri che non sono delle classiche allergie in quanto non dimostrabili con i classici test allergologici.
Gli specialisti hanno osservato i sintomi ed i segni: pancia gonfia, meteorismo, flatulenze, brontolii e dolori addominali, diarrea. Non è una classica allergia perchè gli allergologi non riescono a dimostrarla con test specifici; non è una intolleranza al glutine (celiachia), perché i gastroenterologi non trovano anomalie strutturali della parete dell’intestino, né gli anticorpi specifici per l’identificazione di tale patologia. Non si tratta nemmeno di un morbo di Crohn, una malattia infiammatoria cronica, perché la colonscopia è negativa.
Viene quindi da chiedersi perchè il paziente non sta bene nonostante gli esami clinici siano nella norma? In questi casi spesso si pensa alla Sindrome del colon irritabile.
Finalmente da qualche tempo si comincia a pensare che possa trattarsi di intolleranza ai cibi: non una vera e propria allergia (quindi non si trovano gli anticorpi specifici, immunoglobuline E IgE, diretti verso particolari alimenti), ma qualcosa di diverso che sta trovando conferme scientifiche. Riportiamo quanto riferisce Elide Pastorello, direttore del reparto di Allergologia all’ Ospedale Niguarda di Milano e Professore Associato all’Università circa uno studio condotto nel 2007 dal gastroenterologo Peter Gibson, che ha pubblicato un’interessantissima ricerca.
“Egli identifica nei carboidrati la causa dei sintomi intestinali: questi carboidrati, il cui prototipo è il lattosio, non verrebbero assorbiti dall’intestino tenue, perché in eccesso o per qualche altro motivo, e arriverebbero intatti nel colon dove fermentano per azione della flora batterica intestinale e producono anidride carbonica, idrogeno e acqua”. Il problema sarebbe dunque un malassorbimento dei carboidrati.
Gli imputati principali delle intolleranze alimentari sono, secondo Gibson, i Fodmaps: Fermentable Oligo-Di-and Mono-saccharides (principalmente fruttosio e fruttani) and Polyols (polioli, come il sorbitolo). Il fruttosio dà più disturbi quando è slegato dal glucosio, infatti vegetali con più fruttosio che glucosio, come mele, pere, anguria possono provocare più facilmente sintomi intestinali. Lo stesso vale per cipolle, carciofi, asparagi, cavoli, cavolfiori, ricchi di fruttosio».
Ma come dimostrare queste intolleranze? Secondo l’allergologa non è facile perché mentre per l’intolleranza al lattosio dovuta alla mancanza di un particolare enzima – lattasi – si può eseguire il Breath test nel caso del malassorbimento dei carboidrati e un po’ più complicato ed è ancora tutto da studiare.
Nel frattempo cosa è consigliabile fare? Potrebbe essere utile abolire i carboidrati dalla dieta? “Eliminarli per un limitato periodo di tempo – continua l’allergologa – può servire per convincere una persona del problema. Poi, però, vanno introdotti, anche a costo di qualche sintomo che una persona dovrà imparare a tollerare. Una dieta equilibrata non può prescindere da questi alimenti”. Non solo, ma il frumento è anche ricco di vitamine e certi fruttani, funzionano come prebiotici per la flora batterica intestinale, favorendo l’equilibrio fra batteri benefici all’organismo (lattobacilli e bifido batteri) e quelli che potrebbero avere effetti negativi per la salute.
Vorremmo ora commentare tutto quello che abbiamo riportato:
Perché si continua a dibattere sull’implicazione di un tipo di anticorpo o di un altro, quando la realtà clinica e la ricerca hanno già consentito di capire che qualsiasi cibo può provocare in persone sensibilizzate la produzione di citochine e sostanze infiammatorie che provocano tutta la sequenza di sintomi, malattie e disturbi tipici delle intolleranze alimentari o allergie alimentari ritardate.
Oltre un anno fa avevamo scritto Intolleranze Alimentari: interessanti novità in cui viene spiegato in modo dettagliato come un alimento può indurre la produzione di BAFF (B Cell Activating Factor) e provocare tutti i sintomi infiammatori che usualmente sono ascritti al cibo, e come i valori di BAFF consentono di capire il livello di infiammazione correlata al cibo eventualmente presente in una persona, e di agire in conseguenza per aiutare a ridurre quella stessa infiammazione e a controllarne gli effetti sulla salute.
Abbiamo anche riportato uno studio realizzato dalla Seconda Università degli Studi di Napoli con la collaborazione della School of Medicine dell’Università di Baltimora che ha definito la “Gluten sensitivity” una intolleranza al glutine che provoca gli stessi sintomi della celiachia senza esserlo e che riguarda il 20% della popolazione sana e che ha dimostrato ancora una volta i fenomeni infiammatori da cibo, per l’approfondimento vi invitiamo a leggere l’articolo Celiachia o Gluten Sensitivity? Ricordiamo inoltre che non solo i sintomi gastrointestinali sono da mettere in relazione all’infiammazione da cibo ma anche tutte quelle patologie con eziologia infiammatoria come per esempio sovrappeso/obesità definita da oltre 10 anni malattia infiammatoria cronica.
I fenomeni di infiammazione a bassa intensità determinata dal cibo possono essere messi in evidenza da esami ematochimici come il complemento (C3 e C4), il numero di globuli bianchi, il numero di eosinofili (generalmente alti) nonché dalla valutazione di BAFF e talora PAF, e dalla comprensione dei possibili contatti alimentari precedenti che spesso durano nel tempo.
Ricordiamo poi che grazie alle scoperte di Fred Finkelman (Finkelman FD. J Allergy Clin Immunol 2007;120:506-15) è emerso che le Immunoglobuline G (IgG) nei confronti di un alimento possono essere un valido segnale di una attivazione immunologica nei confronti di quel cibo, o più precisamente un segnale dell’avvenuto contatto immunologico con l’alimento.
Le IgG verso gli alimenti possono essere contemporaneamente espressione:
– di tolleranza verso il cibo riducendo le reazioni allergiche
– o del suo contrario aumentando la risposta allergica al cibo stesso.
Per concludere vorremmo ricordare che durante l’intervista la Dott.ssa Pastorello “consiglia di abolire i carboidrati per un periodo, e poi reintrodurli a costo di qualche sintomo che una persona dovrà imparare a tollerare” questa affermazione coincide con quello che viene definito il recupero della tolleranza e la riduzione dell’infiammazione.
Non a caso infatti un obiettivo per la salute e il raggiungimento del vero benessere è quello, una volta identificati i cibi “incriminati”, di proporre una dieta di rotazione che prevede l’assunzione di tali alimenti soltanto in alcuni giorni della settimana per un certo periodo di tempo e successivamente reintrodotti anche gli altri giorni fino a recuperare un’alimentazione varia, sana priva di restrizioni. Per l’approfondimento consigliamo la lettura di: La dieta di rotazione.
A questo punto viene spontaneo chiedersi: come identificare gli alimenti responsabili della suddetta “infiammazione da cibo” ovvero delle intolleranze alimentari?
I test che abbiamo a disposizione sono numerosi (Driatest, Citotossico, Food Intolerance Test, che determina la reazione nei confronti delle proteine degli alimenti, mediata dalle IgG…….. ) anche se non vengono accettati dalla medicina ufficiale in quanto non convenzionali -che non significa non scientifici- è grazie ad essi che molti medici specialisti riescono a consigliare ai propri pazienti delle diete finalizzate al recupero della tolleranza e conseguentemente del benessere.
Finalmente l’ argomento “intolleranze alimentari” , fino a qualche tempo fa quasi negato dalla medicina ufficiale perché non rientrava negli schemi delle allergie vere, viene ora preso in considerazione anche dalla ricerca, forse anche quei medici che non volevano vedere la realtà cominciano ad “aprire gli occhi”.
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