Mal di Sushi: attenzione
La sindrome sgombroide, ribattezzata più semplicemente "mal di sushi", è una patologia che si manifesta con sintomi molto simili a quelli di un'allergia alimentare

Il sushi di gran moda in tutto il nostro paese, utilizzato come aperitivo o per cene sfiziose, ormai in vendita in tutti i supermercati, in realtà è un piatto ricco di proprietà nutrizionali e preventive, a renderlo così salutare è anche l’abbinamento tra i vari ingredienti, la salsina Wasabi, che di solito lo accompagna, è a base di rafano che ha un altissimo potere antiossidante, il riso contiene gli amidi necessari a favorire l’assimilazione delle proteine del pesce, e per finire le alghe sono ricchissime di fibre, vitamine, ferro, magnesio e zinco.
Nonostante tutte queste proprietà il sushi non è indicato per i soggetti allergici, per i bambini, le donne in gravidanze e per coloro che hanno un sistema immunitario “fragile”.
Non dimentichiamoci inoltre di considerare che esiste anche per questo piatto qualche piccola minaccia per la salute, è infatti di questi giorni la notizia del continuo aumento di ricoveri a Milano per sindrome sgombroide, una patologia di origine alimentare che insorge dopo l’ingestione di pesce mal conservato. Crescono infatti le denunce dei carabinieri del Nucleo Antisofisticazioni e sanità che hanno rilevato una serie di infrazioni alle regole igieniche, in alcuni ristoranti dove veniva servito pesce crudo, appena scottato e sushi.
La sindrome sgombroide, ribattezzata più semplicemente “mal di sushi”, è una patologia che si manifesta con sintomi molto simili a quelli di un’allergia alimentare: arrossamenti, prurito, orticaria, mal di testa, ma anche vomito e diarrea, fino a difficoltà respiratorie.
Il principale responsabile è l’elevato contenuto di istamina nelle carni di pesce mal conservato o conservato a temperature superiori a quelle di refrigerazione: in queste condizioni infatti, i microorganismi presenti nelle carni (per lo più Morganelle e Klebsielle), responsabili di innescare i processi di deterioramento, favoriscono la decarbossilazione dell’istidina libera con formazione di istamina e altre amine biogene tossiche, che ne potenziano l’azione.
Va detto che la reazione dipende dalla sensibilità dell’individuo all’istamina (che è un mediatore già presente nel nostro organismo) e dal consumo concomitante di altri alimenti che ne possono contenere, anch’essi, alti livelli (formaggi stagionati, insaccati e carni in scatola).
Tonni, sardine, sgombri e aringhe sono i pesci che presentano nel muscolo il maggior contenuto di istidina libera e che infatti sono maggiormente coinvolti nei casi di intossicazione; meno preoccupanti, da questo punto di vista, sono i crostacei, i molluschi e il pesce bianco.
La conservazione del pesce a temperature fra 6 e 20°C, unita a scarsa igiene o contaminazione batterica incrociata nelle fasi di preparazione, favorisce la formazione dell’amina tossica, mentre a temperature inferiori a 6°C la sintesi batterica si arresta.
Da notare che livelli di istamina nelle carni in grado di scatenare reazioni avverse (fra i 10 e i 100mg/100g), non sempre sono accompagnati da sapori e odori sgradevoli: alle temperature di conservazione che favoriscono la produzione di istamina, infatti, è minore la produzione di ammoniaca, l’indicatore principale di freschezza di un pesce che dà importanti informazioni sulla qualità e sulla bontà delle modalità di conservazione che ha subito fino al consumo.
Attenzione alla qualità !!!!!!!
Per l’approfondimento sulle proprietà del sushi rimandiamo all’articolo del nostro archivio:
Sushi un aiuto per mantenersi in forma