Attività fisica e predita di peso

In Italia ci sono 4 milioni di obesi e solo il 18% decide di mettersi a dieta, talvolta basta anche un modesto calo di peso per ridurre il rischio di patologie cardiovascolari e diabete.

L’attività fisica aiuta a perdere peso 
In Italia il 34,2% della popolazione è sovrappeso e il 9,8% è obesa e solo il 18% decide di mettersi a dieta, talvolta basta anche un modesto calo di peso per ridurre il rischio di patologie cardiovascolari e diabete.

L’obesità è dovuta a fattori esogeni come errata alimentazione, consumo di alcool, sedentarietà, molte persone però dichiarano di non mangiare molto ma di ingrassare ugualmente e questo fenomeno può essere spiegato facendo riferimento a cause organiche, a una predisposizione genetica. Dato che non possiamo intervenire sui fattori genetici possiamo intervenire però sui fattori ambientali.
Ogni volta che mangiamo ci sono degli organuli chiamati mitocondri che si occupano di bruciare le sostanze nutritive che assumiamo, possono essere paragonati a microscopiche centrali energetiche poiché producono, attraverso reazioni chimiche, l’energia necessaria alle cellule per compiere le loro funzioni.

Questo avviene in tutte le cellule, e sono proprio le cellule adipose brune ad essere le più attive, purtroppo nei soggetti obesi queste cellule sono pigre a causa di una scarsa attività dei mitocondri.
Tutto quello che viene ingerito tende a trasformarsi in deposito di grasso all’interno della cellula con conseguente aumento di peso.
Recentemente uno studio eseguito dal Centro di Studio e Ricerca sull’obesità dell’Università di Milano ha individuato uno dei probabili meccanismi responsabili dell’obesità e della sindrome metabolica. I ricercatori hanno infatti scoperto che un difetto nella produzione di ossido nitrico, un messaggero cellulare che normalmente provvede a rifornire di ossigeno tutte le cellule dell’organismo, provoca una diminuzione nel numero dei mitocondri con una conseguente diminuzione dell’energia prodotta. Questo vuol dire che, a parità di cibo ingerito, l’aumento di peso è dovuto alla scarsa dispersione energetica.

E’ stato inoltre dimostrato che un intervento volto a modificare lo stile di vita è in grado di incidere sia sul contenuto e che sulla morfologia dei mitocondri del muscolo scheletrico, e della sua relazione con la sensibilità insulinica in soggetti obesi insulino resistenti. Lo studio ha fornito una base teorica, fisiopatologia e cellulare alla necessità e all’importanza dell’attività fisica e della restrizione calorica per i soggetti obesi, nei quali si verificherebbe un miglioramento della sensibilità insulinica.
Inoltre mostra come l’atrofia dei mitocondri, caratteristica dei soggetti obesi non è irreversibile, ma può essere migliorata con semplici strumenti quali attività fisica e corretto regime dietetico.
L’obesità aumenta considerevolmente la probabilità dell’insorgenza della resistenza all’insulina. Le strategie dietetiche per il trattamento e la prevenzione della resistenza insulinica variano in base alle caratteristiche di ciascun individuo, ma quasi tutti gli esperti concordano sul fatto che i sintomi migliorano molto riducendo il peso corporeo, anche solo del 10%, e aumentando l’attività fisica
I benefici dell’attività fisica per i soggetti obesi e/o diabetici sono notevoli: il compenso glicemico, il profilo lipidemico ed il benessere generale migliorano con un’attività regolare che abbia almeno la frequenza di 3 volte la settimana. Per quanto riguarda in specifico i soggetti obesi si consigliano almeno 5 sedute settimanali di circa 30 minuti. Per coloro che non sono abituati a fare sforzi fisici sarà necessario assumere un giusto apporto di glucosio prima di qualsiasi sforzo.
Unitamente all’attività fisica è necessario concordare con il proprio medico anche un regime dietetico corretto che deve avere 3 obiettivi fondamentali:
Mantenere la glicemia a livelli quasi normali
Normalizzare l’assetto lipidico
Stabilizzare il proprio peso corporeo entro certi canoni d’accettabilità

Un elemento fondamentale è il controllo del peso, poiché condiziona l’insulino-resistenza, il fabbisogno insulinico ed il conseguente controllo glicemico, un adeguato apporto calorico giornaliero è complementare alla pianificazione alimentare.
Nei soggetti obesi la riduzione dell’introito calorico che porta ad una diminuzione del peso corporeo di circa il 10 – 15%, migliora la sensibilità all’insulina e la captazione di glucosio, riduce la secrezione insulinica e la produzione epatica di glucosio.
Ricordiamo che il grasso corporeo localizzato nella parte superiore del corpo aumenta il rischio di andare incontro a diabete, malattie cardiovascolari ed ipertensione, utile nella diagnostica è la misurazione della circonferenza della vita che se superiore a 94 nell’uomo e 80 nella donna (valori aggiornati) indica un elevato rischio di mortalità per malattie cardiovascolari.

La risposta glicemica è influenzata anche dalla lavorazione, preparazione e velocità di digestione dell’alimento.
Un regime dietetico corretto deve tener conto che il fattore più importante alla risposta glicemica è il contenuto complessivo di carboidrati presenti nella dieta; mentre grassi e proteine danno un contributo nel rallentare la velocità di digestione e di assorbimento dei carboidrati, ne consegue che, stabilita la quantità di carboidrati da fornire, questi dovrebbero essere ripartiti fra pasti principali e spuntini, in modo da ottenere risposte glicemiche ottimali. Altro fattore importante sono le fibre, forma non digeribile di carboidrati, che contribuiscono a creare volume e sembrano rallentare la digestione e l’assorbimento dei carboidrati. Le fibre solubili, come quelle ritrovate nella crusca d’avena e nei legumi, possono smorzare la risposta glicemica, post-prandiale e ridurre la colesterolemia. Al contrario le fibre non solubili, come quelle di frumento, di numerosi frutti e vegetali, hanno uno scarso impatto sulla glicemia e sulla colesterolemia, ma hanno una notevole azione sulla motilità intestinale.
Infine, per quanto riguarda l’apporto di vitamine e sali minerali, attualmente non vi sono evidenti dimostrazioni di un aumentato fabbisogno, ma gli antiossidanti, come il beta-carotene, la vitamina E e la vitamina C, sono stati ritenuti potenzialmente utili nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari.

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