Fibra alimentare . . . meno infiammazione

Abbiamo sempre più certezze scientifiche circa l'influenza che l'alimentazione può avere sulla prevenzione e cura di alcune patologie, in particolare per quelle che hanno un'origine infiammatoria, come le neoplasie, quelle metaboliche e quelle cardiovascolari.

Fibra alimentare . . .  meno infiammazione  –  Abbiamo sempre più certezze scientifiche circa l’influenza che l’alimentazione può avere sulla prevenzione e cura di alcune patologie, in particolare per quelle che hanno un’origine infiammatoria, come le neoplasie, quelle metaboliche e quelle cardiovascolari.
In modo particolare sembra che la dieta sia in grado di influire sui marcatori, infatti l’effetto protettivo spesso è associato ad un’alimentazione ricca di fibre, la cui azione sui processi infiammatori viene spiegata secondo due ipotesi:
  • riduzione del processo ossidativo su glucosio e grassi, grazie al buon funzionamento dell’intestino
  • alterazione delle adipocitochine (molecole proinfiammatorie secrete dal tessuto adiposo) e miglioramento del metabolismo dei grassi a livello epatico.
Non dimentichiamoci che tra i fattori predittivi del possibile sviluppo di malattie croniche come, la malattia coronarica, il diabete, la sindrome metabolica troviamo i livelli ematici di marcatori di infiammazione sistemica come i valori della proteina C reattiva (vedi box) a elevata sensibilità (hs-CRP), l’interleuchina6 (IL-6) e il recettore del fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-alfa-R2).

Cos’è la PCR (proteina C reattiva)

La proteina C reattiva (PCR), un sensibile marker dell’infiammazione, è un fattore predittivo indipendente di malattie cardiovascolari. La proteina C reattiva (PCR), è una tipica proteina di fase acuta che viene sintetizzata dal fegato per induzione dell’interleuchina 6 e di altre citochine infiammatorie. Il nome di questa alfaglobulina deriva dalla proprietà di reagire con il polisaccaride C dello pneumococco.
La PCR è una sostanza prodotta dal fegato e poi rilasciata nel circolo sanguigno. In condizioni normali i suoi livelli nel sangue sono bassi, ma in presenza di un’infezione o di uno stato infiammatorio possono aumentare anche di migliaia di volte nel giro di poche ore. In questi casi, la crescita della PCR è molto rapida e precede il manifestarsi di sintomi classici dell’infiammazione, come la febbre o il dolore. Il ritorno della PCR a valori normali è altrettanto rapido: non appena l’infiammazione scompare anche la proteina cala. 
Il suo valore normale è l’assenza, o comunque una presenza inferiore a 5 mg/dL; un viraggio della proteina C reattiva è utile nel caso d’infezione batterica, per esempio una polmonite, poiché segue il decorso della malattia (cosa che non accade quando l’infezione è di natura virale) e può essere utilizzata per valutare complicanze e controllare la risposta alla terapia antibiotica. Inoltre, il suo monitoraggio è importante per verificare l’efficacia del trattamento in corso di patologie reumatiche.
Negli ultimi anni ha assunto UN RUOLO NUOVO di  grande rilievo in quanto la ricerca di marker infiammatori è predittivo del rischio di futuri eventi cardiovascolari: l’ipotesi di partenza, ormai accreditata, è che l’aterosclerosi sia il risultato di un processo infiammatorio , che si sviluppa in risposta a danni metabolici (diabete, ipercolesterolemia), fisici (ipertensione) o comportamentali (abitudine al fumo).


Riuscire a controllare questi valori è un ottima strategia di prevenzione, e la possibilità di farlo attraverso l’alimentazione è stato valutata studiando un campione di 2000 donne, analizzando il loro stato infiammatorio e le loro abitudini alimentari.

Il campione era stato selezionato da uno dei maggiori programmi osservazionali di ricerca sulle patologie di disabilità e cause di morte delle donne in postmenopausa (Women Health Initiative).
Le donne selezionate non avevano avuto particolari problemi di salute nei tre anni precedenti e, con questionari specifici, è stato possibile ricostruire il regime dietetico di circa cinque anni (1993-1998), anche se la quantità di fibre consumate circa 16 grammi al giorno, era inferiore alla quantità consigliata dalle linee guida, che è di circa 20-35 g al giorno, è stato comunque possibile osservare delle variazioni delle concentrazioni ematiche dei marcatori. In particolare il maggior consumo di fibre era associato a più bassi livelli IL-6 e di TNF-alfa-R2, nessuna relazione invece con la hs-CRP.
Ma i ricercatori sostengono che i due marcatori, due citochine infiammatorie, le cui concentrazioni variano, potrebbero regolare la hs-CRP, e l’influenza della dieta modifica prima loro e poi, indirettamente, la hs-CRP. Questi risultati sono emersi solo grazie all’osservazione delle abitudini alimentari, ed è stato possibile già rilevare delle variazioni, questo conferma nuovamente che l’alimentazione può davvero essere uno strumento di cura, infatti un aumento volontario e controllato di fibre nella proprio alimentazione può far davvero variare i livelli dei marcatori infiammatori e svolgere così un importante ruolo preventivo.
Un recente studio pubblicato sull’ European Journal of Clinical Nutrition nello scorso mese di febbraio, ha documentato la netta riduzione delle concentrazioni plasmatiche di proteina C reattiva con l’aumento di fibre alimentari nella dieta (da 3,3 a 7,8 g/Mj).
Lo studio ha comportato la revisione sistematica di 7 trials clinici che hanno correlato il consumo di fibra e i livelli circolanti di PCR. Lo studio è stato condotto consultando le banche dati fino all’aprile 2008, sono stati considerati studi d’intervento su adulti, di almeno 2 settimane di durata, in cui il consumo di fibre era particolarmente elevato e misurabile, ed è emerso come  l’aumento del consumo di fibre  comporta una significativa diminuzione delle concentrazioni plasmatiche di PCR (-25–54%).
Queste modificazioni sembrano collegabili anche ad una interessante associazione tra perdita del peso e la modulazione di alcuni parametri biochimici legati all’infiammazione silente, come l’insulina, il glucosio ematico, gli acidi grassi e l’interleuchina-6.
Molte ricerche scientifiche sottolineano come un miglior controllo dell’infiammazione attraverso un corretto regime alimentare, sia in grado di modificare la secrezione di particolari ormoni detti eicosanoidi, che derivano dagli acidi grassi. Un’alimentazione ad elevato indice glicemico, comporta una ipersecrezione insulinica, che porta ad un aumento della produzione dell’acido arachidonico da cui derivano molti fattori infiammatori, viceversa l’impostazione di un regime alimentare a basso indice glicemico, permette l’inibizione di questo processo accompagnato da un aumento della produzione di eicosanoidi ad azione antinfiammatoria.
Nell’impostare un corretto regime alimentare sarebbe utile come abbiamo più volte ripetuto verificare anche la presenza di eventuali intolleranze alimentari, visto che numerosi sono gli studi, anche in questo settore, che evidenziano uno stretto legame tra intolleranze alimentari e infiammazione.
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