Quanto sale assumiamo nella giornata? Quale correlazione con l’ipertensione
L'American Heart Association e la American Stroke Association, hanno sottolineato che per la prevenzione di ipertensione, patologie cardiache e ictus sia indispensabile il controllo del sale al fine di promuovere uno stile di alimentazione sano...

In questi giorni è stata pubblicata negli Stati Uniti la lista dei cibi da bandire o meglio ridurre dalle nostre tavole; l’ American Heart Association e la American Stroke Association, hanno infatti sottolineato che per la prevenzione di ipertensione, patologie cardiache e ictus sia indispensabile il controllo del sale al fine di promuovere uno stile di alimentazione sano.
Spesso pensiamo a cibi ricchi di sale quando ci avviciniamo a un sacchetto di patatine, salatini e noccioline, e stiamo attenti a non eccedere con la saliera sull’insalata, non sappiamo che il quantitativo di sale più pericoloso per la nostra dieta arriva da alimenti comuni, pietanze presenti nei nostri piatti ogni giorno.
La lista dei 6 cibi maggiormente incriminati è americana ma essa comprende i cibi più comunemente consumati in Italia e capisaldi della dieta mediterranea.
1. il pane con tutti i suoi derivati prodotti da forno. Una fetta, sostengono i ricercatori, potrebbe già contenere il 15 per cento del quantitativo di sale raccomandato al giorno.
2. gli affettati e la carne cotta e tagliata a fette (come il classico tacchino o il roastbeef), acquistata già pronta.
3. la pizza: (una fetta contiene circa 760 mg di sodio) con due fette si arriverebbe già al limite del consumo di sale quotidiano
4. pollo arrosto confezionato, acquistato nei supermercati: come nel caso della pizza, si parla di una media tra i vari prodotti da banco analizzati dai ricercatori 100 gr circa di bocconcini di pollo impanati contengono 600 mg di sodio
5. la famiglia delle zuppe pronte in scatola: una tazza di brodo in scatola può avere fino a 940 mg di sodio
6. i panini farciti: uniscono insieme il pane e gli affettati, e magari le salse (ketchup, mostarda, maionese) dove il sale fa da padrone, è stato rilevato che un singolo sandwich può contenere 1500 mg di sodio.
Più precisamente, nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione il consumo di sale rimane elevato, si calcola infatti che nei paesi sviluppati ogni individuo ne assuma in media 9-10 mg al giorno corrispondenti a circa 4 gr di sodio. Nel 2003 un rapporto congiunto OMS/FAO sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari e cronico degenerative raccomandava di ridurre il consumo di sale al di sotto dei 5 gr al giorno(2 gr sodio die).
Nel 2011 l’American Heart Association ha fatto un appello in linea con quanto pubblicato nel 2010 dalle USA Dietary Guidelines affinchè l’introito di sale non superi i 1500 mg die e poiché come abbiamo appena detto l’apporto giornaliero di sale deriva dagli alimenti preparati industrialmente, bisognerebbe attivarsi al fine di attuare delle modifiche durante la lavorazione dei prodotti industriali, nonché promuovere una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica invitando la popolazione a mangiare molta frutta e verdura, consumare pochi alimenti preconfezionati, controllare il contenuto di sodio sulle loro etichette, lavare i cibi in scatola prima di consumarli, prediligere i piatti freschi soprattutto quando si mangia a casa, ma anche, se possibile, sostituire il sale da tavola con le spezie per aromatizzare i piatti.
Ricordiamo che l’associazione tra consumo abituale di sale, prevalenza di ipertensione arteriosa e tendenza all’aumento della pressione arteriosa (P.A) con l’età è stata documentata da importanti studi epidemiologici, tra cui lo studio INTERSALT condotto su oltre diecimila individui arruolati in 32 paesi. Questo studio ha dimostrato che l’escrezione urinaria di sodio nelle 24 ore (misura della quantità assunta con la dieta) è significativamente correlata con la pressione arteriosa e che gli individui con i valori di sodio più bassi hanno una P.A. inferiore e un aumento molto contenuto o nessun aumento pressorio con l’età, ed inoltre che l’escrezione di potassio è correlata in modo negativo con la P.A.
E’ stato dimostrato che il consumo di sale è correlato con lo sviluppo di malattie cardio- vascolari e con il danno d’organo anche in modo diretto non dipendente dall’azione sulla pressione arteriosa; l’eccesso di sodio infatti promuove l’ipertrofia ventricolare sinistra, la fibrosi cardiaca, renale, vascolare, la progressione della malattia renale e della proteinuria, e aggrava la rigidità delle grosse arterie legata all’invecchiamento. Tra gli effetti dannosi di un elevato introito di sodio non è da sottovalutare l’aumento dell’escrezione urinaria di calcio che accresce il rischio di formazione di calcoli renali contenenti calcio e di osteoporosi conseguente alla mobilizzazione del calcio osseo. Non dimentichiamoci infine della correlazione con l’obesità (l’eccesso di sale favorisce il consumo di bevande zuccherate e caloriche), con il cancro gastrico e la severità dell’asma.
Al fine di ridurre la P.A. due sono gli interventi più efficaci:
– diminuzione del consumo di sale
– riduzione del peso corporeo attraverso correzioni della dieta e dello stile di vita
L’impatto che questi due interventi hanno sulla pressione è stato ampiamente studiato dal famoso studio DASH-sodium trial (Dietary approaches to stop Hypertension) che ha esaminato gli effetti pressori di tre differenti introiti di sodio (compresi tra 3,5 e 1,2 g die) abbinati a due diversi regimi alimentari: la dieta DASH (ricca di verdura, frutta e latticini a basso tenore di grassi) e una dieta di controllo tipica degli Stati Uniti. Il maggior decremento della pressione arteriosa (8,9 mm hg nella sistolica e 4,5 mm hg nella diastolica) si è registrato nel confronto tra i soggetti con la dieta di controllo e un elevato introito di sodio e i soggetti con la dieta DASH e l’introito di sodio più basso .
Un’ulteriore analisi dello studio ha evidenziato che la riduzione del sodio al di sotto di 1500 mg die abbassava la P.A. in misura maggiore negli individui anziani rispetto ai giovani. La pressione sistolica diminuiva di 8,1 mm hg nel range di età 55-76 anni rispetto a una riduzione di 4,8 mm hg nel range 23-41 anni
Nei soggetti non ipertesi la pressione diminuiva di 7mm hg per un’età maggiore di 45 anni rispetto a 3,7 mm hg al di sotto dei 45 anni
Per concludere: ridurre il sale previene gli eventi cardiovascolari?
Al momento non disponiamo di studi randomizzati controllati che valutano gli effetti di una riduzione del sale a lungo termine sulla morbilità e la mortalità per malattie cardiovascolari, tuttavia esistono evidenze indirette provenienti da studi prospettici e da lavori di metanalisi, tra queste citiamo quella apparsa su British Medical Journal di Cazzullo e coll. che ha esaminato 13 studi pubblicati tra il 1996e il 2008 per un totale di oltre 177 mila partecipanti e 11 mila eventi cardiovascolari registrati.
L’analisi ha evidenziato che un elevato consumo di sale si associava in modo dose-dipendente ad un aumento significativo del rischio di ictus e di eventi cardiovascolari.
Una riduzione del sale di 5 g/die si associava a una diminuzione del 23% dell’incidenza di ictus e del 17%dell’incidenza di malattie cardiovascolari.
Sulla base di questi dati gli autori hanno ipotizzato che ogni anno una riduzione del sale di 5 g/die estesa a tutta la popolazione potrebbe risparmiare circa 1 milione e 250 mila morti per ictus e circa 3 milioni per malattie cardiovascolari nel mondo.
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