Sindrome da fatica cronica: la causa nell’intestino

Uno studio della Cornell University pubblicato sulla rivista scientifica Microbiome ha individuato dei marcatori biologici nel microbioma intestinale associati alla malattia

Sindrome da fatica cronica: tra le cause malfunzionamento dell’intestino e infiammazione

La stanchezza è uno dei sintomi più frequenti per i quali una persona si reca dal medico, spesso è dovuta a stress, surmenage psicofisico, depressione, o altre patologie organiche quali l’ipotiroidismo, diabete, infezioni croniche, malattie infiammatorie croniche, ecc.
La sindrome da stanchezza cronica invece prevede  una diagnosi di esclusione.
Si parla di Sindrome da fatica cronica (CFS) in presenza di: una fatica cronica persistente per almeno sei mesi che non è alleviata dal riposo, che si esacerba con piccoli sforzi, e che provoca una sostanziale riduzione dei livelli precedenti delle attività occupazionali, sociali o personali.
Inoltre devono essere presenti quattro o più dei seguenti sintomi, per almeno sei mesi: disturbi della memoria e della concentrazione severi; faringite; dolori delle ghiandole linfonodali cervicali e ascellari; dolori muscolari e delle articolazioni senza infiammazione o rigonfiamento delle stesse; cefalea di un tipo diverso da quella eventualmente presente in passato; un sonno non ristoratore; debolezza post esercizio fisico che perdura per almeno 24 ore.
Ovviamente devono essere escluse tutte le condizioni mediche che possono giustificare i sintomi del paziente, per esempio ipotiroidismo, epatite B o C cronica, tumori, depressione maggiore, schizofrenia, demenza, anoressia nervosa, abuso di sostanze alcoliche ed obesità.
Anche se è difficile da definire e diagnosticare, possiamo affermare che il sintomo principale è una spossatezza molto grave, sia mentale che fisica, che si determina anche con uno sforzo fisico minimo, oltreché ovviamente, per definizione, non dovuta ad una malattia nota, e che differisce dalla sonnolenza e dalla mancanza di motivazione.
Tuttavia uno studio della Cornell University  pubblicato sulla rivista scientifica Microbiome ha individuato dei marcatori biologici nel microbioma intestinale associati alla malattia, dando quindi una possibile spiegazione delle cause.
I risultati di questa ricerca potrebbero portare alla definizione di un test diagnostico utile per individuare una condizione che interessa lo 0,4-1 % della popolazione, soprattutto tra i 40 e 59 anni, ma che è diffusa anche fra gli adolescenti. Si tratta di un problema che provoca una sostanziale riduzione dei livelli delle attività occupazionali, sociali, scolastiche e personali.
Lo studio: i ricercatori, biologi molecolari e genetisti dell’ateneo newyorkese, hanno esaminato campioni di sangue e di feci di 83 persone, 48 con diagnosi di fatica cronica e 39 sane. Di tutti hanno sequenziato il Dna presente nelle feci per identificare le specie batteriche presenti nel microbioma e la sua composizione.
I test hanno evidenziato delle differenze nel microbioma dei pazienti con diagnosi di CFS: le specie batteriche erano ridotte, ed era anche minore la presenza di microrganismi dalla capacità antinfiammatoria.
Un altro dato molto interessante riguarda la presenza di marcatori biologici di infiammazione nel sangue dei soggetti con funzionalità intestinale compromessa, che potrebbe essere alla base di una reazione immunitaria causa dei sintomi della patologia.
Questo studio dimostra che il microbioma intestinale nella sindrome da fatica cronica è anomalo, e che forse provoca sintomi gastrointestinali e infiammatori in chi ne soffre.
Conclusioni: sembra quindi che alla base della CFS non ci sia una qualche forma di nevrosi ipocondriaca o una forma depressiva, ma più semplicemente una anomalia biologica, precisa, e localizzata nell’intestino.
Se i dati di questa ricerca verranno confermati da altri studi, non solo potremmo avere un test diagnostico poco invasivo e veloce, ma si potrebbero fare grandi passi avanti anche nella cura di questa patologia, considerando la possibilità di utilizzare come terapia cambiamenti alimentari, somministrazione di prebiotici come fibre alimentari o probiotici per migliorare la funzionalità intestinale.
Se davvero la componente infiammatoria gioca un ruolo determinante nella comparsa della malattia, potrebbe essere utile anche una valutazione delle ipersensibilità alimentari, la cui presenza sostiene uno stato di infiammazione cronica dell’organismo, e la loro individuazione sarebbe utile per impostare un corretto regime alimentare finalizzato al miglioramento e all’eliminazione della componente infiammatoria.