Sindrome dell’ intestino irritabile (IBS=Irritable Bowel Syndrome)
l’IBS è un disordine funzionale intestinale che interessa il 5-20% della popolazione del mondo occidentale, con una maggiore frequenza nel sesso femminile.

Sindrome dell’ Intestino Irritabile (IBS=Irritable Bowel Syndrome)
È difficile stimare l’incidenza e la prevalenza dell’IBS, poiché questo disturbo è caratterizzato da sintomi abbastanza frequenti nella popolazione che non portano sempre ad una diagnosi definita. Secondo i dati di letteratura, l’IBS è un disordine funzionale intestinale che interessa il 5-20% della popolazione del mondo occidentale, con una maggiore frequenza nel sesso femminile. In Italia la prevalenza si aggira intorno al 5- 10% circa.
Quali sono i meccanismi alla base dell’IBS? La patogenesi dell’IBS sembra comprendere alterazioni a più livelli che influenzano la motilità intestinale, la soglia percettiva degli stimoli provenienti dal canale alimentare e disturbi della sfera psicologica.
I meccanismi patogenetici riguardano i polimorfismi per geni coinvolti nel metabolismo della serotonina (5-idrossitriptamina, 5-HT) e nella sintesi delle citochine pro- ed anti-infiammatorie, oltre ad alterazione della produzione di neurotrasmettitori del sistema nervoso enterico, del microbiota intestinale, dei meccanismi regolatori della permeabilità epiteliale e del sistema immunitario di mucosa.
La sintomatologia classica con cui si presenta l’IBS comprende:
- Dolore e crampi addominali che si attenuano con l’evacuazione;
- Meteorismo e sensazione di gonfiore allo stomaco, riconducibile essenzialmente alla distensione addominale;
- Episodi di diarrea alternati ad episodi di stipsi (alvo alterno);
- Presenza di muco nelle feci;
- Sensazione di svuotamento intestinale incompleto dopo la defecazione;
- Urgenza all’evacuazione dopo i pasti, stimolata dal riflesso gastro-colico.
Nell’inquadramento clinico il termine IBS, intende qualsiasi sintomo suggestivo di disturbi intestinali che si associ a modificazioni dell’alvo sia in senso stitico (IBS-C), che diarroico (IBS-D) che misto, e cioè con alternanza di stipsi e diarrea (IBS-M).
Oltre il 20% di chi soffre di IBS lamenta disturbi dell’evacuazione per lo più di tipo stitico che, insieme al dolore, rappresentano una frequente causa di compromissione della capacità lavorativa.
Criteri della classificazione “Roma IV” per la Sindrome dell’Intestino irritabile
– Dolore addominale recidivante, in media, almeno 1 giorno alla settimana negli ultimi 3 mesi,
associato a 2 o più delle seguenti caratteristiche . . .
– Associato alla defecazione
– Associato a modificazioni della frequenza delle evacuazioni
– Associato a modificazioni della forma/consistenza delle evacuazioni (classificate secondo la Scala di Bristol)
Tali criteri devono essere rispettati negli ultimi 3 mesi ed essere iniziati da almeno 6 mesi
Sebbene l’IBS venga spesso considerata una condizione senza una eziologia organica precisa, sono emerse evidenze sul ruolo di alterazioni del microbiota e della permeabilità intestinale nella patogenesi della malattia.
L’epitelio di rivestimento intestinale, con una superficie di circa 200 m2, rappresenta la più grande e più importante barriera che separa l’organismo dall’ambiente esterno; questa barriera è costituita da uno strato mucoso ed uno epiteliale, dove le cellule sono unite tra loro per mezzo di giunzioni intercellulari (tight junctions). Le giunzioni intercellulari sono formate da complessi proteici che prendendo contatto con alcune fibre muscolari, possono aprirsi e chiudersi regolando la permeabilità e il passaggio di piccole molecole dal lume intestinale ai tessuti circostanti.
Studi sia in vitro che in vivo confermano che molti pazienti affetti da IBS presentano un’alterata permeabilità della mucosa intestinale. Questa alterazione può essere dovuta a stati pro-infiammatori, legati ad infezioni o fattori ambientali, o anche conseguenti a particolari condizioni genetiche che influenzano la struttura delle giunzioni intercellulari e, di conseguenza, la normale funzione della barriera intestinale, con ripercussioni sulla funzionalità dell’organo.
Anche per il microbiota intestinale è stato proposto un ruolo tra i fattori eziologici nella patogenesi dell’IBS.
Il microbiota gastrointestinale è una comunità composta da numerosi microrganismi, dei quali oltre 160 specie sono batteriche. I due maggiori gruppi tassonomici presenti sono i Firmicuti e i Batteroidi, che compongono fino al 90% del microbiota del tratto gastrointestinale. Gli Attinobatteri, invece, rappresentano meno del 10% della popolazione batterica residente. Questa importante comunità batterica è responsabile della digestione dei carboidrati fermentabili e della produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA). Queste molecole contribuiscono alla riduzione del pH intestinale e all’inibizione della crescita e colonizzazione degli agenti patogeni. La densità e composizione del microbiota varia nel corso dell’età e può essere modulata da numerosi fattori sia intrinseci (es. secrezione acida gastrica, motilità e secrezioni intestinali, quantità e qualità del muco intestinale, concentrazione di molecole ad attività antimicrobica), che estrinseci (es. dieta, farmaci).
In accordo con tali osservazioni, si può supporre come variazioni nella composizione del microbiota, anche indotti dalla dieta, possano contribuire all’insorgenza o al peggioramento dei sintomi dell’IBS, così come gli effetti benefici di alcuni nutrienti sui sintomi dell’IBS possono essere mediati, almeno in parte, dall’influenza esercitata sulla composizione del microbiota. Il sostegno del microbiota attraverso l’uso di probiotici e prebiotici rappresenta una valida strategia di trattamento dell’IBS.
L’esclusione di alimenti sospetti dalla dieta deve durare il tempo necessario ad ottenere un miglioramento dei sintomi, seguito da un graduale reinserimento in quantità che dipendono dalla tolleranza individuale.
Recentemente, l’interesse clinico e di ricerca si è focalizzato sul ruolo dei carboidrati fermentabili a catena corta, che vengono raggruppati nella definizione di “FOD-MAPs”.
L’acronimo FODMAP (Fermentable Oligo-, Di- and Mono- saccharides And Polyols), è stato coniato per descrivere un gruppo di carboidrati fermentabili a catena corta e composti derivati che comprendono:
fruttosio, lattosio, frutto- e galatto-oligosaccaridi (fruttani e galattani) e polioli (sorbitolo, mannitolo, xilitolo e maltitolo).
Tutti questi composti hanno in comune tre proprietà funzionali:
- Sono molecole osmoticamente attive, che richiamano acqua nel lume intestinale con un effetto lassativo e di modifica della motilità intestinale;
- Vengono scarsamente assorbiti dall’intestino, perché gli enzimi deputati alla loro digestione sono assenti o poco attivi, o perché queste molecole sono troppo grandi per diffondere attraverso l’epitelio intestinale e il loro trasporto attivo è lento;
- Vengono fermentati rapidamente dal microbiota intestinale, grazie alla lunghezza ridotta della catena del carboidrato rispetto a quella dei polisaccaridi contenuti nelle fibre solubili alimentari.
La fermentazione di queste molecole da parte del microbiota porta a formazione di SCFA, importanti per alcune funzioni intestinali, ma anche di idrogeno gassoso e metano.
C’è correlazione tra assunzione di FODMAPs e sintomi dell’IBS? La causa fisiologica di molti disturbi funzionali dell’intestino è la distensione del lume intestinale. Questo fenomeno non porta solo alla comparsa di dolore, sensazione di gonfiore e distensione addominale, ma ha anche effetti secondari sulla motilità intestinale.
Il lume intestinale si dilata per la presenza di solidi, liquidi e gas: la massa solida è controllata dall’apporto di fibre alimentari, quella liquida dalla carica osmotica nel lume intestinale, mentre il volume creato dal gas dipende dal numero di molecole gassose presenti e dalla loro capacità di diffondere attraverso l’epitelio.
L’aumento di volume acquoso a livello del piccolo intestino è responsabile dell’ipersensibilità viscerale, del dolore addominale e del gonfiore. Inoltre, la produzione di metano e idrogeno gassoso nel colon aumentano a loro volta la distensione addominale. La diagnosi di intolleranza ai FODMAPs, ad oggi, è ancora piuttosto difficile poiché non disponiamo di test diagnostici scientificamente validati per l’identificazione di questa problematica.
Dopo una anamnesi medica dettagliata che include una valutazione delle abitudini alimentari e degli stili di vita, in assenza di concomitanti patologie immunomediate o organiche di altra natura a carico dell’apparato gastroenterico, al paziente viene formulata una diagnosi di disturbo funzionale gastrointestinale, che in molti casi coincide con la presenza di IBS.
Il gold standard della diagnosi di intolleranza ai FODMAPs è, ancora oggi, la dieta di esclusione che si basa sugli stessi principi usati per l’allergia alimentare, con la differenza che nelle intolleranze alimentari è sufficiente ridurre, e non escludere del tutto, l’alimento sospetto della reazione avversa per ottenere un miglioramento dei sintomi. La dieta a basso contenuto di FODMAPs (low FODMAPs) è tra gli esempi di maggior successo per quanto riguarda le diete di esclusione.
Nel paziente con sospetta IBS è importante impostare una dieta a basso contenuto di FODMAPs anche prima di una conferma diagnostica, per monitorare la comparsa e/o l’evoluzione della sintomatologia.
Come si esegue una dieta low FODMAPs? Considerato l’elevato numero di alimenti che contengono FODMAPs e la sensibilità soggettività del paziente ad un particolare gruppo di carboidrati fermentabili rispetto ad un altro, la dieta low FODMAPs deve essere costruita su misura da un medico nutrizionista esperto in base alla storia clinica e dei dati clinici disponibili.
Solitamente si inizia con una dieta priva (o a bassissimo contenuto) di FODMAPs per un periodo di 4-6 settimane durante le quali si dovrebbe osservare un miglioramento dei sintomi. Successivamente, vengono reintrodotti gradualmente i cibi contenenti FODMAPs per determinare la sensibilità e la tolleranza del paziente ad un particolare gruppo di queste sostanze e liberalizzare quanto più possibile la dieta. In caso di inadeguata efficacia sui sintomi, al termine delle 6 settimane la dieta deve essere interrotta.
La letteratura scientifica sostiene l’efficacia di una dieta low FODMAPs nel controllo delle manifestazioni gastrointestinali di tipo “funzionale”, ovvero in assenza di documentate allergie o lesioni organiche, in soggetti sintomatici.
Molti pazienti che ottengono un miglioramento dei sintomi sono poco propensi a tornare ad assumere alimenti sospetti di essere causa dei loro problemi, tuttavia, questo procedimento è essenziale per non escludere inutilmente e per lunghi periodi di tempo alimenti importanti per l’equilibrio e il fabbisogno giornaliero dell’organismo. Non esistono, infatti, ad oggi dati sulla sicurezza di una dieta low FODMAPs nel lungo periodo.
CIBI DA LIMITARE
- Latte (da mucca, pecora, o capra), burro, fiocchi di latte, gelato, salse a base di crema/formaggio, latte dolce condensato, formaggi molli (brie, ricotta), mozzarella, panna montata, yogurt;
- Grano, farro, kamut e segale;
- Carciofi, asparagi, barbabietole, broccoli, cavolini di Bruxelles, cavolfiore, finocchio, fagiolini, funghi, aglio, cipolle;
- Avocado, mele, albicocche, datteri, frutta sciroppata, ciliegie, fichi, mango, pere, papaya, pesche, susine, prugne secche, cachi, anguria;
- Miele, marmellate, gelatine, dolcificanti artificiali: sorbitolo, mannitolo, isomalto, xilitolo (gocce per la tosse, gomme da masticare, mentine).
CIBI PERMESSI
- Latte delattosato e latticini delattosati, formaggi duri (cheddar, Reggiano, Pecorino, formaggio svizzero); Farine senza glutine: riso, mais, quinoa, tapioca, grano saraceno;
- Banana, frutti di bosco, melone, carote, sedano, melanzana, lattuga, verdura a foglie verdi, olive, zucca, patate, pomodori, zucchine, la maggior parte di aromatiche e spezie;
- Zucchero;
- Tutti i grassi.
In che modo l’IBS e una dieta low FODMAPs alterano l’equilibrio del microbiota intestinale? Abbiamo visto che fruttani e galatto-oligosaccaridi sono substrati della fermentazione intestinale da parte del microbiota che porta a formazione di acido butirrico. La dieta low FODMAPs riduce fino al 50% l’apporto di fruttani e galatto-oligosaccaridi, mancando così il substrato per la fermentazione batterica e la produzione di acido butirrico. Oltre alla disponibilità del substrato per la fermentazione batterica, la dieta low FODMAPs influisce anche sulla composizione batterica del microbiota gastrointestinale. Questo dato è dimostrato da studi che attestano una riduzione della concentrazione di Bifidobatteri dopo 4 settimane di dieta, senza tuttavia fornire informazioni sugli effetti di tale alterazione nel lungo periodo.
Le alterazioni del microbiota intestinale hanno un ruolo importante nella distensione addominale e nella permeabilità intestinale. Considerando che lo stesso microbiota è influenzato dalle abitudini alimentari, il cerchio si chiude.
La composizione del microbiota è anche un importante fattore coinvolto nell’IBS. Studi microbiologici colturali su materiale fecale proveniente da pazienti con IBS dimostrano variazioni della composizione batterica, con una perdita di Lattobacilli e Bifidobatteri, e un aumento di Streptococchi ed Escherichia coli.
Sempre in soggetti con disturbo infiammatorio intestinale, si può riscontrare la presenza di pochi esemplari di F. prausnitzii e Bifidobatteri e un aumento di Batteroidi, supportando l’esistenza di batteri specifici nella patogenesi di malattia.
Sulla base delle evidenze del coinvolgimento del microbiota intestinale nella fisiopatologia dell’IBS e nell’intolleranza ai FODMAPs, si sono aperte nuove strade verso lo sviluppo di strategie di prevenzione e intervento.
Tra le nuove strategie, si stanno maggiormente studiando gli effetti della supplementazione con probiotici, microrganismi ad azione benefica sulla salute, e con prebiotici, fibre alimentari solubili che stimolano la crescita di particolari specie del microbiota commensale. Studi clinici hanno già dimostrato come l’assunzione di determinati ceppi probiotici possa determinare un miglioramento dell’IBS, con riduzione del dolore e del gonfiore dopo trattamento con probiotici, e possa contribuire al mantenimento della popolazione di Bifidobatteri durante una dieta low FODMAPs.
Tratto da: Scienza e Natura al Servizio della Salute