Speciale Alzheimer
L'Alzheimer è una patologia caratterizzata dalla degenerazione delle cellule del cervello; si manifesta con diversi sintomi tra cui: problemi di memoria, difficoltà nel linguaggio, rapidi cambiamenti di umore, disorientamento

L’Alzheimer è una patologia caratterizzata dalla degenerazione delle cellule del cervello; si manifesta con diversi sintomi tra cui: problemi di memoria, difficoltà nel linguaggio, rapidi cambiamenti di umore, disorientamento. Si tratta di una malattia irreversibile per la quale non esiste ancora una cura efficace, è una forma di demenza che si evidenzia con grave deterioramento delle funzioni cerebrali causato da un’eccessiva e progressiva degenerazione e quindi perdita di neuroni; vengono perse la capacità intellettive, quelle cognitive con impossibilità ad intrattenere relazioni sociali e attività lavorative. La demenza può iniziare in modo molto subdolo con perdita della memoria che diviene sempre più marcata fino a rendere la persona priva di qualsiasi ricordo, in questi casi, è frequente la confabulazione, cioè la comparsa di racconti fantastici e del tutto privi di logica e di attinenza con la realtà, a questo si accompagna la perdita dell’autosufficienza. Esistono diverse forme di demenza, come quella senile, metabolica, traumatica, vascolare, tossica, ecc . . Oggi, circa 44 milioni di persone al mondo soffrono di demenza, un gruppo di patologie tra cui l’Alzheimer, e secondo gli scienziati del Word Alzheimer Report 2014 (Dementia and Risk Reduction) questo numero raddoppierà entro il 2030 e triplicherà entro il 2050.
Il Rapporto mondiale di quest’anno sulla malattia (realizzato da Alzheimer’s Disease International ADI), Federazione internazionale comprendente 84 associazioni in tutto il mondo, consiste in un’analisi dei fattori di protezione dalla malattia su cui si può intervenire, svela che è possibile ridurre il rischio associato alla demenza attraverso azioni mirate. Tra queste, il controllo dell’uso del tabacco; la prevenzione, il rilevamento ed il controllo di alcune patologie tra cui l’ipertensione e il diabete, che influiscono in buona % su tale rischio.
Altro punto molto importante riguarda l’educazione, intesa come istruzione, cultura e conoscenze acquisite nel corso della vita: se essa non influisce sui cambiamenti cerebrali che portano alla demenza, ha però un impatto sul funzionamento intellettuale; così, chi ha avuto opportunità educazionali e formative migliori presenta un rischio più basso della malattia in età avanzata. In particolare, è importante potenziare le capacità del cervello durante la vita, specialmente nella mezza età, così che i cambiamenti cerebrali avvengano decenni prima che i sintomi possano apparire. In generale, chi raggiunge l’età avanzata con un cervello più sviluppato e più in salute sembra avere una vita più felice ed indipendente, con una minore probabilità di insorgenza della demenza.
Da non dimenticare, poi, i fattori di rischio legati a disturbi di natura psicologica, per i quali ci sono forti evidenze che la depressione possa aumentare il rischio di demenza, secondo il Rapporto; si ipotizza che anche lo stress di tipo psicologico abbia lo stesso effetto.Inoltre, “mentre l’età e la genetica fanno parte dei fattori di rischio della malattia, non fumare, mangiare più sano, praticare esercizio fisico e avere un buona istruzione, insieme al mantenere in esercizio il cervello per assicurarsi che sia attivo, sono tutti elementi che possono giocare un ruolo rispetto alla probabilità di sviluppare la demenza”, ha spiegato il Professor Graham Stokes, Global Director of Dementia Care, Bupa. “Le persone che hanno già la demenza o che presentano segnali del problema, possono mettere in atto queste azioni, che possono aiutarle a rallentare la progressione della malattia”.Anche se l’evidenza scientifica da studi osservazionali non è conforme, i risultati degli studi disponibili sembrano suggerire che l’attività fisica potrebbe essere associata ad una diminuzione del 40-50% del rischio.
L’esercizio fisico dimezza il rischio di demenza: basta 1 ora di esercizio fisico alla settimana per dimezzare il rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer; lo ha scoperto un gruppo di ricercatori della Cambridge University in uno studio che ha portato alla classificazione dei 7 fattori di rischio che riguardano lo stile di vita che aumentano le probabilità di sviluppare la demenza.
Secondo lo studio pubblicato sulla rivista Lancet Neurology, 1 caso di demenza su 3 potrebbe essere evitato se si aumentano i livelli di attività fisica e se si riduce il fumo, e se si prendono provvedimenti contro problemi di salute come diabete (può aumentare il rischio di demenza del 50%) e obesità (esiste uno stretto legame fra circonferenza vita e la probabilità di ammalarsi del Morbo di Alzheimer). Secondo l’articolo pubblicato da Neurology, la rivista della Società Americana di Neurologia, il rischio è 3,6 volte maggiore. Ad essere studiati sono stati 6583 californiani di età compresa tra i 40 e i 45 anni, a cui è stata misurata la densità addominale, cioè la distanza, verificata con un calibro, tra l’addome posteriore e quello anteriore. Questa misura è correlata con la quantità di grasso viscerale, cioè quello che si concentra intorno agli organi. Trentasei anni dopo il 16% dei partecipanti ha avuto una diagnosi di demenza. Ricordiamo che l’ obesità è comunque correlata ad uno stato infiammatorio cronico e che non possono esistere diete generalizzate che non tengono conto degli equilibri personali e della risposta individuale al cibo.
Si tratta del primo studio che ha quantificato l’impatto combinato dei fattori di rischio dello stile di vita sul rischio demenza. Dai risultati è emerso che l’esercizio fisico è la più grande protezione che abbiamo contro la malattia. Chi fa meno di 1 ora di esercizio fisico a settimana, secondo quanto rilevato dai ricercatori, ha l’82% di probabilità in più di sviluppare la demenza.
Essere obesi nella mezza età, invece, aumenterebbe il rischio di sviluppare l’Alzheimer del 60%, mentre l‘ipertensione arteriosa aumenterebbe il rischio del 61%. Il fumo, invece, aumenterebbe il rischio demenza del 59%, mentre il diabete del 49%. Le conclusioni dello studio dimostrerebbero che stili di vita sani che aiutano a mantenere una buona salute cardiaca proteggono anche il cervello.
L’attività fisica ritarda la riduzione dell’ippocampo: mantenere stabile il volume dell’ippocampo è fondamentale per ritardare il declino cognitivo e la comparsa dei sintomi della demenza nei soggetti anziani con rischio genetico di sviluppare il morbo di Alzheimer.
Un nuovo studio condotto da Carson Smith della University of Maryland ha dimostrato che l’attività fisica moderata svolge un ruolo protettivo sulla salute del cervello, ritardando il restringimento dell’ippocampo, regione cerebrale responsabile della memoria e dell’orientamento spaziale e la prima ad essere colpita dall’Alzheimer.
Ogni essere umano tende a perdere un po’ del volume del cervello con il passare del tempo ma le persone geneticamente vulnerabili all’Alzheimer mostrano una maggior atrofia ippocampale con l’aumento dell’età. Un decadimento che potrebbe essere ridotto attraverso la semplice attività fisica.“La buona notizia – ha spiegato Smith su Frontiers in Aging Neuroscience – è che l’attività fisica moderata offre protezione dalla neurodegenerazione associata al rischio genetico per la malattia di Alzheimer, preservando il volume dell’ippocampo nei soggetti predisposti al morbo. Ciò significa che l’attività fisica è potenzialmente in grado di ritardare il declino cognitivo e la comparsa dei sintomi di demenza in questi individui”.
Arriva un test fai da te per valutare il proprio stato cognitivo – La diagnosi precoce rappresenta un punto importante nella lotta all’Alzheimer. Se, infatti, non esiste ancora una cura efficace che possa bloccare lo sviluppo della malattia, molto si può fare con la diagnosi precoce perché si potrebbero mettere in atto terapie ad hoc finalizzate a contenere i sintomi ed a rallentare il declino cognitivo.
In quest’ottica assume grande interesse il test messo a punto dagli scienziati della Ohio State University coordinati da Douglas Scharre: il test consiste in una serie di domande piuttosto semplici e può essere eseguito in soli 15 minuti (è possibile scaricarlo gratuitamente dal sito della Ohio University, anche in lingua italiana).
Prove di calcolo, prove di ragionamento, esercizi di memoria, prove di orientamento: il SAGE test può essere un efficace strumento per evidenziare piccoli ma significativi cambiamenti cognitivi che possono essere spia di un declino cognitivo.
Il test può essere fatto anche a casa propria senza alcuna supervisione e prende in considerazione sei aspetti delle capacità cognitive: orientamento, linguaggio, ragionamento, funzioni visuospaziali, problem solving e memoria.
Secondo le previsioni dei suoi creatori il test sarà in grado di individuare quattro casi di declino cognitivo su cinque. Il test è stato sperimentato su un campione di 1047 persone: il 28% dei partecipanti ha mostrato una forma di leggero declino cognitivo. In questi casi, precisa lo studioso nordamericano, il test può essere ripetuto periodicamente per monitorare nel tempo lo stato di salute della propria memoria.
Come vedremo anche l’alimentazione ha un ruolo fondamentale nella prevenzione del M. di A., infatti, consumare alimenti vegetali, ridurre l’assunzione di grassi saturi e frutti di mare, sono importanti per la prevenzione del morbo di Alzheimer.
Un gruppo di esperti di livello internazionale, per iniziativa del Physicians Committee for Responsible Medicine, ha stilato un documento che elenca le sette indicazioni principali da tenere in considerazione per allontanare il rischio di sviluppare l’Alzheimer.
Prevenire il morbo di Alzheimer in 7 mosse – Sette consigli ed indicazioni precise in materia di stile di vita ed alimentazione per prevenire il morbo di Alzheimer. È il documento firmato da un gruppo di esperti di livello internazionale per iniziativa del Physicians Committee for Responsible Medicine.
- tenere sotto controllo i livelli di rame: un’indicazione importante che trova riscontro anche in uno studio tutto italiano pubblicato poche settimane fa su Annals of Neurology e firmato da Rosanna Squitti, ricercatrice dell’Ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina di Roma. La ricerca ha dimostrato l’esistenza di un legame diretto tra il cattivo assorbimento di rame e lo sviluppo della malattia. Prima di intraprendere qualsiasi tipo di dieta sarebbe importante verificare i livelli di rame perché, soprattutto nelle persone over 55, si può avere qualche difficoltà nel metabolismo di questo metallo. Per controllare la situazione si può fare un semplice esame del sangue come il C4D. In caso di livelli anomali di rame è bene evitare l’assunzione di vitamine che contengono i metalli;
- limitare il consumo di frutti di mare;
- aumentare il consumo di alimenti vegetali, , soprattutto legumi, perché i metalli contenuti nei legumi e nelle verdure vengono assimilati in base alle esigenze dell’organismo;
- assumere maggiori quantità di alimenti ricchi di vitamina E perché aumentano la resistenza dei neuroni di fronte ai processi neurodegenerativi;
- fare attività fisica per 30 minuti al giorno: perché, come spiegano gli esperti, aumenta il trofismo dei neuroni, cioè la loro capacità di resistere alla degenerazione provocata da malattie come l’Alzheimer;
- ridurre l’assunzione di grassi saturi e trans-saturi perché favoriscono il declino cognitivo, soprattutto se vengono associati ad una dieta ad alto contenuto di rame;
- aumento del consumo di alimenti ricchi di vitamina B12 e B6 (oppure assunzione di complessi multivitaminici) che favoriscono la produzione di neurotrasmettitori e migliorano le abilità cognitive.